E’ vero che le attività con il cavallo hanno effetti benefici per l’uomo?

Gli interventi assistiti con il cavallo hanno effetti benefici sia a livello motorio che cognitivo e suggeriscono che il cavallo acquisisce una valenza emotiva positiva in grado di migliorare l’autostima e le capacità comunicative del paziente/utente. Questo è possibile non solo in termini di coordinazione fisica tra il soggetto animale e umano, ma anche grazie al reciproco coinvolgimento emotivo che risulta essenziale alla buona riuscita della seduta.

La chiave del successo degli interventi assistiti con il cavallo potrebbe quindi risiedere nel processo di scambio di stati emotivi (emotional transfer) che ha luogo durante l’interazione con l’animale. È questa l’ipotesi avanzata dai ricercatori del Centro di referenza nazionale per gli interventi assistiti con gli animali (CRN IAA) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), in una review pubblicata sulla rivista scientifca Animals e a cui è stata anche dedicata la copertina.

Nella relazione uomo-animale gli stati emotivi di entrambi possono condizionarsi reciprocamente e influenzare i rispettivi comportamenti. La sintonizzazione a livello emotivo dipende dalla sincronizzazione di attività fisiologiche, come ad esempio quella cardiaca, cerebrale o ormonale.

Essere connessi con gli altri a livello emotivo promuove la formazione di legami solidi tramite l’attivazione di sofisticati meccanismi che permettono di sintonizzarsi sulle emozioni altrui. Alla base di questa connessione collettiva c’è l’intelligenza emotiva, che permette agli individui di interpretare correttamente le reazioni emotive di altri individui, in modo da gestire eventi di tensione ma anche per coordinarsi con il resto del gruppo.

In natura i cavalli vivono in grandi gruppi sociali stabili in cui la trasmissione delle emozioni positive può contribuire alla “sincronizzazione” del branco e, d’altra parte, il rapido contagio di emozioni negative, come la paura, può aumentare le probabilità di sopravvivenza in una specie predata come il cavallo. Sembrerebbe che grazie alla domesticazione e alla lunga convivenza con l’uomo, le abilità relazionali sviluppate dai cavalli a livello intra-specifico abbiano assunto una natura così fluida da essersi estese all’interazione con l’uomo e quindi a livello inter-specifico.

I cavalli possiedono una sorta di concetto di “persona”, rispondendo differentemente a stimoli provenienti da coloro che conoscono bene o meno e creandosi delle aspettative sulle persone semplicemente basandosi sul loro comportamento, sull’orientamento del corpo o dello sguardo. Riescono inoltre a riconoscere individualmente una persona rispetto ad altre e comprendono la valenza emotiva delle espressioni facciali umane. Questi animali dunque possiedono la plasticità cognitiva e la flessibilità comportamentale richiesta per gestire relazioni sociali complesse ed è probabile che mettano in campo le stesse competenze anche quando interagiscono con individui di specie differenti, come l’uomo.

Quando la percezione di un’emozione induce nell’osservatore la stessa emozione che sta provando l’emettitore, avviene il cosiddetto contagio emotivo che è considerata la forma più primordiale di empatia. Tramite l’utilizzo di segnali non intenzionali (espressioni facciali, vocalizzazioni, o anche la spontanea ricerca di contatto) i cavalli e le persone hanno progressivamente sviluppato la capacità di comunicare i propri stati emotivi e di esserne influenzati reciprocamente. Durante gli interventi assistiti il cavallo diventa un mediatore relazionale, agendo spesso come facilitatore sociale. Il successo dell’intervento stesso è strettamente connesso al legame che si crea nella diade uomo-animale e alla reciproca influenza.

Perché un cavallo “imbizzarrisce”?

Spesso, quando un cavallo sembra essere “impazzito” improvvisamente, corre, sgroppa, scalcia o si impenna all’improvviso, diventa pericoloso per sé stesso e per gli altri, sentiamo utilizzare questo termine: “imbizzarrito”.

Questa è una delle tante leggende metropolitane di chi non conosce e capisce i cavalli, ma si limita a dare un giudizio superficiale a ciò che vede. Questi animali non hanno comportamenti strani e imprevedibili solo per un loro “capriccio”, ma ci sono sempre dei buoni motivi e cause oggettive che giustificano queste loro reazioni.

Per capire meglio il loro comportamento, dobbiamo però tenere ben presente, che il cavallo in natura è una “preda” e che per circa 60 milioni di anni, per riuscire a sopravvivere ha dovuto contare sulla sua spiccata sensibilità, la sua velocità di fuga e resistenza fisica.

Ancora oggi, nonostante viva con noi al sicuro dai grandi predatori, è rimasto un animale attento, prudente, un po’ diffidente, sempre pronto alla fuga di fronte a qualcosa o qualcuno che ritiene essere una minaccia per la sua vita.

Perciò, dietro a un cavallo “imbizzarrito” c’è sempre un motivo, che noi dobbiamo scoprire e cercare di eliminare, con un’attenta osservazione e con tanta calma, perseveranza e pazienza, si può aiutarlo a superare le sue paure. Importante è non cadere mai nella tentazione di usare le maniere “forti” ,che aggravano solo il problema, invece, è solo instaurando una profonda relazione di fiducia e amicizia, cavallo-uomo, che si possono risolvere queste situazioni.

Chi erano gli antenati del cavallo?

La storia del cavallo inizia circa 60 milioni di anni fa, molto prima che nascesse “Homo erectus”. Dall’inizio, un piccolo mammifero, il cavallo si trasformò nell’animale attuale solo dopo 59 milioni di anni. Poi per un milione di anni i branchi di cavalli furono una fonte di cibo per l’uomo. Quindi, nelle steppe eurasiatiche di 5-6000 anni fa alcuni nomadi, particolarmente intorno al Mar Nero e al Caspio, cominciarono a dedicarsi all’addomesticamento del cavallo, determinando una rapida evoluzione.

Eohippus: è il capostipite del cavallo moderno, animale di piccola taglia, 35 cm. di altezza, con zampe a quattro dita, e mantello a macchie, simile ai cervi.

Mesohippus: comparve 35-40 milioni di anni fa, più grande e alto forse 45 cm. , ma con tre dita per zampa.

Miohippus: si sviluppò 30 milioni di anni fa, alto 60 cm. e sempre con tre dita.

Merychippus: 25-20 milioni di anni fa, era alto circa 90 cm. e iniziava ad assomigliare all’attuale cavallo.

Pliohippus: comparve circa 6 milioni di anni fa, era alto circa 120 cm. al garrese, e aveva solo più un dito ogni zampa come il cavallo moderno.

Equus caballus: il “vero” cavallo si sviluppò 5 milioni di anni fa, che nella struttura di base già molto simile a quello attuale, dove però l’uomo operò una selezione genetica controllata per diversi secoli. Da questo derivarono tre principali razze progenitrici di tutte le attuali: Il Cavallo della foresta, il Cavallo selvatico d’Asia e il Tarpan.